Siamo al conto alla rovescia. Di qui al 9 aprile si gioca una partita decisiva per la sorte del nostro paese. Anzi, due partite tra loro connesse. Ed è appunto sulla connessione tra le due partite che mi preme fissare la nostra attenzione.
La prima partita è quella con la quale dobbiamo cacciare Berlusconi, sbarazzarci di una anomalia-patologia che ci ha fatti assurgere (si fa per dire …) a “osservati speciali” nel mondo e che tanti danni ha procurato al nostro paese. Alla sua economia e alla sua qualità sociale, ma soprattutto al suo tessuto morale, civile e democratico. A una lacerante rottura della nostra democrazia costituzionale. Con lo stravolgimento non solo della Costituzione formale (la “devolution”), ma anche della Costituzione sostanziale, cioè dei principi, dei diritti e delle garanzie democratiche scolpiti nella sua prima parte. Per tacere del deragliamento operato dal governo Berlusconi rispetto alla storica vocazione e tradizione europeista del nostro paese. Il mix di vulnus alla Costituzione e di svolta antieuropeista sono esemplarmente condensati nell’avallo alla guerra, sciagurata e illegittima, ingaggiata in Iraq dall’”amico Bush”.
La seconda partita che si gioca con le prossime elezioni è quella dell’avanzamento verso il varo di un partito dei democratici riformatori quale perno, baricentro, timone del futuro governo Prodi e, in una prospettiva di più lunga lena, quale elemento di stabilizzazione del bipolarismo italiano. Un bipolarismo minacciato come non mai dalla nuova, nefasta legge elettorale, pensata esattamente allo scopo di dissolvere il bipolarismo e di ricacciarci indietro al tempo della frammentazione, dell’instabilità, della palude.
Il nesso tra le due partite è chiaro: per vincere e per governare, con regole elettorali che spingono alla divisione, si devono rinsaldare, per via politica, i fattori di unità. E non solo unità elettorale (le liste dell’Ulivo), ma anche e soprattutto unità politica (e dunque accelerazione reale sul Partito democratico e sui gruppi unici in parlamento). Tale scatto in avanti verso una più impegnativa e visibile unità è essenziale per il governo futuro.
Per porre rimedio alla devastazione prodotta dalla CDL, si richiede un governo stabile, autorevole, di eccellenza. Non un governo qualsiasi che si regga sul sostegno incerto di dieci (sì, dieci) partiti e partitini.
Ma già prima, cioè per vincere una competizione tutt’altro che facile e dall’esito non scontato, si deve dare sostanza e visibilità a quel progetto-soggetto cui diamo nome Ulivo-Partito democratico. Questo il senso del rilancio di Prodi, confortato dalla lucida analisi di Ilvo Diamanti.
L’esperienza è univoca sul punto: due partiti che si associano in un cartello elettorale (a modo di bicicletta) percepito e vissuto come tale raccolgono per definizione meno consensi di quanto non ne raccolgano con liste distinte. Tantopiù se la competizione è regolata da una logica proporzionalistica. Il valore aggiunto di proposte unitarie si dà se e solo se dagli atti, dai comportamenti, dai messaggi, dal modo concreto di impostare la campagna elettorale traspare una limpida tensione-determinazione a dar vita insieme a una formazione nuova e unitaria. Che non si risolva in un patto esclusivo ed escludente tra due partiti.
In quanto vincitore delle primarie e dunque interprete e garante del consenso che lo ha premiato, Prodi dà voce alla domanda di unità, di apertura e di novità scaturita dalle primarie stesse. Si tratta di fare uno scatto in avanti con un risoluto investimento politico, comunicativo, organizzativo nella direzione dell’unità così da favorire insieme, la vittoria elettorale, la stabilità e lo slancio del futuro governo, l’evoluzione della democrazia italiana. La quale, come tutte le grandi democrazie, ha il diritto-dovere di dotarsi di grandi partiti.
Abbiamo già atteso abbastanza.